il sindaco leghista e l'Arpav (l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) hanno effettuato i controlli subito dopo l'incidente, assicurando che non c'era alcuna minaccia per la salute pubblica.

Ma il 'tutto va bene' non ha convinto i Benetton: girando per i cinque ettari della tenuta hanno notato piante avvizzite, animali intossicati, un odore acre che non spariva. Così la coppia ha speso circa 20 mila euro e chiesto a uno dei pochi laboratori privati specializzati un monitoraggio ambientale della proprietà. A 16 giorni dal rogo, nonostante le piogge torrenziali, le diossine e gli inseparabili furani (altri composti nocivi) sono stati trovati sulle foglie di ortaggi e insalate, sugli alberi da frutto e in grandi quantità sul terreno.

"Su un pero", spiega l'autore della relazione tecnica Raul Martini, "abbiamo rintracciato un valore di tossicità esorbitante: un solo frutto potrebbe contenere più della soglia giornaliera massima consigliata dall'Oms. La diossina ha invaso l'orto, e finirà con ogni probabilità nelle falde acquifere.

I dati ufficiali? L'agenzia per prevenire il panico ha usato toni rassicuranti, ma credo abbia sbagliato". Nella relazione, in realtà, il commento è meno diplomatico: "Dall'Arpav", si legge, "sono arrivati commenti approssimativi, poca cautela, manipolazione dei risultati".

 

Emergenza diossina

di Emiliano Fittipaldi

Abbiamo il record negativo di emissioni. La sostanza tossica si annida anche negli alimenti. E gli esperti lanciano l'allarme: metà degli italiani ne assume più del limite consentito

 

E non dimentichiamo che l'Epa (l'Agenzia Usa per la Protezione ambientale, ndr) ha spiegato che il maggior pericolo viene dalle sorgenti incontrollabili, come incendi e fuochi privati. Come si fa a stanare i caminetti fuorilegge? Più che procurare allarme, occorre informare la gente".

   
 

Anche in Puglia la tensione è alle stelle. l'Istituto oncologico di Bari ha lanciato un appello per 'tagliare' le emissioni dell'Ilva di Taranto. In qualsiasi altro paese europeo (o in Friuli Venezia Giulia, che ha normative ben più restrittive di quelle nazionali) l'acciaieria avrebbe dovuto chiudere baracca e burattini da lustri. I valori sono, in media, quattro volte superiori a quelli tollerati in Europa. Dieci rispetto a quelli indicati a Trieste. Dov'è l'intoppo? "La legge italiana si riferisce in generale a un ventaglio di circa 200 sostanze", spiega Giorgio Assennato, direttore regionale dell'Arpa, "di cui si fa una media stabilendo un parametro massimo da rispettare. L'Ilva è dentro il limite. Ma nella Ue si misurano le sole diossine tossiche, che sono 17". Ovunque, sulla base di questo principio, l'Ilva dunque chiuderebbe. "Secondo i campionamenti che abbiamo fatto, i livelli di diossina sono in realtà alti. Troppo".

   
In Italia i controlli sull'esposizione da diossine e Pcb sono in mano alle Arpa regionali, ma analisi sistematiche non vengono realizzate quasi mai. Eva Buiatti, epidemiologa e direttrice dell'Ars Toscana, dice che "questi veleni sono talmente pericolosi che nemmeno gli addetti ai lavori vogliono maneggiarli. Nella nostra regione non ci sono registri per individuare le zone contaminate, né competenze sufficienti per effettuare rilevazioni serie". Al Sud la situazione è ancora peggiore. "Quando ero presidente del Consorzio dei rifiuti a Caserta ho chiesto la tracciabilità della diossina e degli altri inquinanti", ricorda il professor Vincenzo Pepe: "Ho subito minacce, mi hanno lasciato solo e mi sono dovuto dimettere. Le Arpa italiane lavorano malissimo, le analisi si contano con il contagocce. Il motivo? Sono carrozzoni politici, senza alcuna indipendenza scientifica. Pubblicare dati negativi turberebbe il consenso politico, e il direttore di turno perderebbe la poltrona    
     
".